
28 Dic Qualcosa del mio 2020
Questo è proprio quello che sembra: un articolo che prova ad essere il mio bilancio di fine anno.
Non è vero. Questo era l’intento, ma tutto si è evoluto e trasformato in un itinerario fatto di persone, sentimenti, emozioni, percorsi.
Non ci sono bilanci, non ci sono obiettivi futuri e non ci sono numeri.
Solo storie.
Questa parte però l’ho lasciata perché mi piace ed è tutto molto vero.
Sebbene io non abbia mai scritto qualcosa del genere in passato, ora avverto la necessità personale di tirar fuori tutto quello che ho imparato quest’anno, perché ci sono un bel po’ di cose che nel 2021 non voglio portare e altrettante che vorrei tenermi stretta.
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FARE SQUADRA
Quando ero piccola odiavo gli sport di squadra. Sono sempre stata la bambina che faceva nuoto e non quella che giocava a pallavolo, come molte mie compagne. Non ero una bambina solitaria, mi piaceva stare insieme agli altri, ma ho sempre fatto fatica a fidarmi.
Questo modo di essere me lo sono portata dietro fino ad ora e forse, incosciamento, sta plasmando il mio modo di essere, anche lavorativamente parlando. Non è tanto un discorso di diffidenza. Significa essere una persona accorta e attenta.
Ecco perché per me può diventare un’impresa trovare persone con cui collaborare, persone di cui mi posso fidare, perché sarebbe come mettere su una squadra.
Quest’anno ho capito che spesso entrare in una squadra è una necessità e soprattutto una salvezza. Riuscire ad affidare parte del mio lavoro a persone esterne per me è stata una grande vittoria, ma anche una sfida perché ci ho messo diverso tempo a capire chi poteva essere la persona giusta per mettere mano al mio sito, al mio logo e alla mia identità visiva (tutte cose che vedranno la luce nel 2021).
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NON STRAFARE
Durante l’università mi appassionavo ad ogni singolo esame, soprattutto durante gli ultimi due anni della magistrale. La mia curiosità spesso mi ha reso la vita complicata, soprattutto quando dovevo rispondere alla domanda cosa vuoi fare da grande. Io volevo fare tante cose e le volevo fare tutte bene. Non starò qui a raccontare come sono andate le cose, perché finirei a fine 2021 probabilmente.
Per farla breve, sono arrivata a fare un lavoro che mi piace e mi dà tante soddisfazioni, ma solo quest’anno ho capito davvero cosa fa la differenza per me.
Non strafare. Più vado avanti e più mi rendo conto che la mia offerta commerciale vuole e deve essere il più minimalista possibile. Non mi serve avere una vetrina con decine di alternative. Non mi serve e non ne ho neanche voglia. La svolta è stato mettere a fuoco i miei risultati e capire esattamente in cosa voglio investire, con che clienti voglio lavorare e, infine, che servizi offrire.
Per me la chiave non è saper fare tante cose.
Per me la chiave è specializzarsi il più possibile, perché è così che è possibile farsi riconoscere e descrivere nel modo più calzante e funzionale.
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IMPARARE DAI CLIENTI
Nel 2020 mi sono sentita libera di poter scegliere con chi lavorare. Ho selezionato molto bene i rapporti lavorativi che volevo portare avanti e ho avuto la fortuna di collaborare con persone che mi sono state di grande ispirazione. Mi sono ritrovata a seguire clienti non proprio in linea con la mia buyer persona e per me è stata una benedizione perché è stato proprio con loro che ho avuto modo di esplorare parti di me che tenevo nascoste, anche a me stessa.
Quest’anno ho imparato molto dai miei clienti e posso dire di avere la certezza della direzione che voglio prendere nei prossimi mesi.
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LE RADICI CHE CONTANO
Mi sono ritrovata senza ispirazione e di colpo l’ho ritrovata nel mio passato. Era lì che mi aspettava, un po’ impolverata e rilegata in un angolo buio e nascosto chissà dove nella mia testa.
Ho ripreso in mano i libri che mi hanno formata all’università e ho ritrovato l’equilibrio tra le parole di John Ruskin e dei suoi Grand Tour italiani.
Ho riascoltato dei dischi che stavano facendo la muffa e ho ritrovato la creatività che stava fuggendo via, tra Brian Wilson, Johnny Cash e una buona dose di punk rock anni ’90 e un po’ 2000.
Poi ho fatto questa cosa:
Una delle cose più entusiasmanti che ho fatto è stata questa: ho provato a ricostruire la storia della pasticceria di mio nonno. Ho cercato delle foto del suo negozio, quasi impossibili da trovare e ho fatto domande a chi quel posto l’aveva frequentato, clienti più o meno abituali. Ho fatto tutto tenendo stretto il suo quaderno di ricette e il diario che il mio bisnonno tenne durante la prima guerra mondiale, un taccuino piccolissimo che ho sempre avuto paura di rovinare.
Non so ancora bene a cosa mi sia servita questa ultima cosa e non so nemmeno bene il suo scopo. Una cosa però l’ho capita: sono dipendente dalle storie. Non importa come sono raccontate, anzi non importano neanche le parole. Importano invece i sentimenti che si portano dietro, le emozioni, i traguardi, ma anche le delusioni, le malinconie, le nostalgie e le sfide.
Spero in un 2021 ricco di storie, scritte, raccontate, imprevedili, ispirate, d’ispirazione, lunghe, corte, disegnate, suonate.
Non mi interessano i numeri, non mi interessa essere la “prima”.
Mi interessa scoprire nuovi itinerari, immergermi nelle storie dei miei clienti e tracciare con loro nuove rotte che possano essere d’ispirazione per creare sempre qualcosa che mantenga viva quella sete di curiosità, conoscenza e dedizione verso qualcosa che magari non sappiamo ancora di amare.

Creo percorsi di comunicazione partendo da ispirazioni che incontrano arte, libri e musica.
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