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Instagram mi piace, ma non ci vivrei

Ho iniziato a utilizzare Instagram circa 10 anni fa, ma non per quello che era stato creato.
Inizialmente lo usavo come app per modificare le foto e so di non essere stata la sola.
Dopo poco ho iniziato a utilizzare Instagram per quello che era: una piattaforma social di condivisione di foto istantanee.
Ma le mie connessioni, la mia rete era altrove, per esempio seguivo tanti blog e leggevo alcune newsletter. Dieci anni fa l’attegiamento verso Instagram era più o meno questo “Che carino, puoi modificare le foto, mettere i filtri, ecc.”. Stop.

Non so bene quando (forse circa 6-7 anni fa) tutto si è spostato su Instagram, prima con gradualità e poi quasi drasticamente.
I blog non li leggeva quasi più nessuno o comunque non erano più così tanto frequentati e quando ci si preparava per redigere una strategia di comunicazione, la prima domanda era “Saremo presenti su Instagram, vero?”.

Ma c’è un altro particolare atteggiamento che è cambiato, qualcosa che secondo me ha contribuito a generare l’atmosfera che oggi si respira sui social. Non bellissima, diciamo.
Iniziamo dal principio.
Avevi qualcosa da dire che andava oltre le quattro righe e necessitava di un discorso ampio e articolato? Scrivevi un articolo sul tuo blog con commenti aperti e ti lasciavi andare alle tue mille riflessioni. I blog hanno sempre avuto molti vantaggi rispetto ai social sia in termini di spazio (perché puoi scrivere quanto ti pare) sia in termini di durata (i blog non hanno una data di scadenza), tralasciamo poi il grande vantaggio di essere canali proprietari, a differenza dei cugini social.
Insomma, succede che a un certo punto si passa da condividere le proprie riflessione approfondite sui blog a condividere le stesse cose sintetizzate all’ennesima potenza sui social: da tempo di lettura 8 minuti a tempo di lettura 8 secondi.
Una trascrizione di questo tipo porta alla perdita di un numero infinito di informazioni, rendendo il pensiero fin troppo asciutto e a volte privo di qualsiasi valore. Abbiamo la certezza che un reel di pochi secondi sia più memorabile di un articolo da 500 parole?

C’è poi un altro attegiamento che, secondo me, mette a rischio la propria comunicazione. Si tende sempre più a mettere al primo posto il canale (leggi: Instagram) e al secondo posto il contenuto, come se fosse sempre meno importante il messaggio e sempre più rilevante il mezzo che utilizziamo. Si è arrivati a questo punto perché la comunicazione di oggi è figlia del “lo fanno tutti, lo dobbiamo fare anche noi” o del “dobbiamo seguire i trend” e del “all’algoritmo piace così”. Ed ecco che è successo che al terzo posto ci sono le persone, che ormai quasi più nessuno definisce così, ma follower, numeri, engagement. Si agisce in base a quello che chiedono gli algoritmi, per compiacergli, dimenticando il nostro benessere.

Io non lo so se Instagram o affini cambieranno, ma io continuerò a considerare i social per quello che sono: dei mezzi di trasporto che possono essere resi più o meno confortevoli. Restano dei mezzi di trasporto e non la destinazione della nostra comunicazione. Quindi, il mio consiglio è di trattarli come tali, imparando a gestirli, ma senza farci governare, rischiando di rendere la nostra comunicazione dipendente da qualcosa su cui non possiamo e non potremo mai avere il pieno controllo.

Ora io mi ritrovo qui a mettere insieme queste parole e scelgo di affidarle a un canale proprietario, il mio blog perché ho davvero a cuore la loro conservazione e mi piacerebbe tornare a rileggerle e farle rileggere con facilità tra mesi o anni, senza perdere tempo in uno scroll infinito, che diventa solo una gran perdita di tempo.

E ora un piccolo sfogo personale: basta, io sono stanca e non ho voglia di star dietro a certe dinamiche, non mi interessa rincorrere algoritmi, non mi interessa correre. Preferisco utilizzare questo tempo per cose che mi piacciono davvero e possono far bene anche al mio lavoro: leggere con calma, ascoltare un disco in vinile, parlare con le persone. Fare tutto con calma, senza fretta e soprattutto farlo perché mi piace, non perché c’è qualcuno o qualcosa che me lo impone.

 

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